Lino Manocchia
nasce a Giulianova il 20 febbraio del 1921,
nell’abitazione di Via della Madonna dei Sette
Dolori (oggi Via Amendola) è il primogenito del
giornalista e scrittore, il Cav. Francesco
Manocchia, poi scomparso nel bombardamento su
Giulianova del 29 febbraio del 1944, e di
Filomena Spadacci, d’origini toscane. Dal
matrimonio di quest’ultimi, nacquero anche i
suoi tre fratelli: Franco, Omero (poi morto per
malattia a 17 anni) e Benito (Benny). In realtà
il vero nome di Lino è Pasquale (nome del nonno
paterno), Omero (nonno materno) e Marino (lo zio
paterno di Pitsburg). Anche se in famiglia lo
chiamavano tutti con il diminutivo di
Pasqualino, ma per tutti era semplicemente,
Lino. L’infanzia a Giulianova viene vissuta
soprattutto con i nonni paterni, Pasquale, noto
calzolaio della città (poi morto all’età di 94
anni) e della nonna, Lucia Macellaro, casalinga
(abitavano dietro la scuola De Amicis, in Via
Diaz). Non mancheranno le occasioni per
frequentare i nonni materni in Toscana, nel
borgo di Montefollonico, frazione del Comune di
Torrita di Siena ed anche a Montepulciano, dove
viveva la zia, sposata con un ricco commerciante
di stoffe. A Giulianova, gli amici più cari che
frequentava erano: Carlo Marcozzi (poi sposato
con la Branciaroli), Guido Pompei, Renato
Campeti, Ernesto Ciprietti, l’affezionato
Giancola e poi Giorgio De Santis, figlio del
Sindaco, il geometra Bruno Solipaca, Dante
Paolini, Poliandri, Rossi,
Epimerio Taffoni,
quest’ultimi noti sportivi giuliesi.
Intanto il padre, cerca di investire i suoi
risparmi nell’ acquisto di una Cartoleria in
città ed anche un piccolo appezzamento di terra.
Nel frattempo la famiglia si sposta, vicino alla
Chiesa di Sant’Anna, dietro il Torrione ed
infine, alla fine degli anni ’30 nel palazzo
dietro il Comune, dove viveva anche Renato
Morganti, padre della sua maestra Maria. Finite
le scuole del regno, si iscrive al Regio
Istituto Tecnico Industriale “Raffaele
Pagliaccetti in Piazza Vittorio Emanuele II
(oggi Piazza della Libertà), diretto dal Dott.
Marucci. Alla fine degli anni ’30, quasi
diciottenne, ebbe modo di conoscere e
frequentare l’Avv. Attilio Re. Le prime battute
dell’Avvocato furono profetiche: “perché non
scrivi come tuo padre francescuccio, scrivi sul
nostro Giulianova calcio. Se sbagli ti aiuto
io”. Arrivò quel giorno, la squadra vinse e
dovette mantenere la parola data. Poco dopo si
recò al Caffè di Germano, nel cuore di Corso
Garibaldi, l’Avvocato lesse l’articolo ed
approvò. Scese in tutta fretta le scalette che
conducono al lido e trasmise, con l’unico
telefono pubblico, tutto l’articolo alla
redazione. Quel primo articolo gli consentì di
prendere la tessera d’ingresso al campo. Il
padre, severo, insistette per non farlo
continuare, è gli ripeteva sempre: “ con
questo mestiere ci si muore di fame”. Ma lui
serafico rispondeva: “Ma papà, tu sei un
morto di fame!”.
Poi iniziò le cronache della famosa Coppa
Alleva, in occasione della festa della Madonna
dello Splendore del 22 aprile e la sua
partecipazione a bordo della splendida Lancia
Lambada di Pierino De Felice, con tanto di
premiazione con la banda di Introdacqua, diretta
dal noto maestro Di Rienzo. Poi tutte le
cronache del calcio giuliese: vero, vivo,
combattuto sempre nella lealtà, quello di
Paolini, Taffoni, Poliandri, Rossi, contro
squadroni del calibro della Maceratese,
Sambenedettese, Fermana, Teramo, Chieti, Vasto
ed altre.
Strano destino quello di Lino, un bel giorno la
sua famiglia ricevette dai due fratelli paterni
(Gino e Marino Manocchia, proprietari di una
fabbrica di tabacchi in Pennsylvania) i
biglietti che li avrebbe portati in America. Ma
la nonna, Lucia Macellaro, di instabile salute,
convinse suo padre a restare a Giulianova.
Con l’avvento del
Fascismo, ma anche durante la sua formazione
scolastica, partecipò con i movimenti giovanili
dell’epoca. Con il tema “Guardo in alto, ammiro
e penso”, partecipò agli Agonali Fascisti per le
scuole giuliesi, piazzandosi ai primi posti. Poi
ci furono le selezioni provinciali a Teramo.
Arrivò prima, ma dopo un consulto della giuria,
fu retrocesso al secondo posto con un diploma e
il primo premio andò al nipote di un funzionario
di stato. Si presentò anche agli Agonali
sportivi della provincia, partecipò ai cento
metri con un paio di scarpette bianche da ballo,
mentre il rivale teramano, Lanciaprima, arrivò
prima, ma con delle vere e proprie scarpe da
ginnastica. Mestamente di accontentò del secondo
posto tra gli applausi dei presenti. Dopo la
fine della scuole superiori, trovò posto a
Torino come supplente (Italiano e Tecnologia).
Finito il periodo
torinese, il padre lo iscrive al Regio Collegio
Aeronautico “Bruno Mussolini” di Forlì, per
istradarlo ad una sicura carriera militare nella
Regia Aeronautica Italiana.
Un bel giorno, in
visita al Regio Collegio, arrivò il Duce in
persona, da buon giuliese si fece avanti per
stringergli la mano. Al termine della visita
ufficiale, il redattore dell’EIAR (l’agenzia di
stampa governativa) dettò il resoconto della
visita, ma il suo collega aviere, preso
dall’emozione non riuscì ad affilare una parola.
All’ora il Colonnello lo chiamò e gli chiese di
trascrivere il resoconto. Poi, dopo la stesura,
lo stesso Mussolini lo visionò e si congratulò
con lui e chiese chi era quel bravo ragazzo.
Quando rispose con nome e cognome, il Capo del
Fascismo sorrise ed esclamò: “…sei il figlio
di Francesco?”. Infatti, il padre, allora
era il corrispondente da Teramo per il “il
Popolo d’Italia”, il quotidiano del P.N.F.. Poco
dopo, allo scoppio la guerra, inquadrato nella
Regia Aeronautica Italiana, verrà trasferito a
Mostar, nell’ex Jugoslavia. Ebbe modo di
incontrasi con il concittadino, Elio Fracassa,
già esattore delle giocate delle lotterie di
stato. Dopo l’8 settembre, dopo una lunga
odissea dentro i vagoni merci, come giovane
sottotenente, fu internato in uno stalag nelle
zone di Francoforte sul Meno, in Germania.
L’internamento era stato cosi duro, che anche
oggi fatica a ricordare quei terribili giorni di
sofferenza.
Dopo tre anni di dura prigionia, viene rimpatriato, ma fa l’amara
scoperta che suo padre è morto a causa di un
ennesimo bombardamento angloamericano su
Giulianova. La bomba, caduta il
29 febbraio del
1944, aveva centrato
in pieno il palazzo (dietro l’odierna sede
comunale). Morirono molti condomini e per
fortuna si salvarono la Madre e i suoi tre
fratelli. Tra l’altro, uno dei fratelli, Benito,
fu colpito da ben 30 schegge. Poi gli anni duri
della ricostruzione, venticinquenne, con una
vita tutta da inventare, con i primi
lavori con il Comune di Giulianova, organizzando
eventi per le feste d’estate, un modo per
aiutare la madre ed i suoi tre fratelli più
piccoli. Innamoratosi della sua concittadina,
Ada Di Michele, figlia di emigranti italiani già
negli USA, nata nell’Ohio, sfocerà in matrimonio
nel 1948, nella parrocchia del lido. Intanto
aveva ripreso le collaborazioni con diverse
testate giornalistiche italiane, molte delle
quali dirette dai colleghi di suo padre
Francesco. Ma anche a livello locale seguiva le
vicende della sua città. Come quella
dell’Avv. Riccardo
Cerulli, che voleva “annettere” la frazione di
Cologna (Roseto degli Abruzzi) a Giulianova. Poi
la battaglia giornalistica in favore della
salvaguardia dell’ex Colonia Rosa Maltoni
Mussolini. C’erano anche le grandi serate al
Kursaal, dove allestiva delle splendide serate
con cantanti, sfilate di Miss, orchestre e
balli, tutto intorno al mitico Trenino di Santa
Fè. Nonostante l’impegno e la voglia di
riscatto, per Lino si profilava la via
dell’espatrio per accarezzare il sogno
americano. Era nei primi giorni di marzo del
1949, quando, con il piroscafo Vulcania si
imbarcò a Napoli insieme alla moglie (tratta
Genova-Napoli-New York) alla volta degli USA.
Salutò Giulianova con una serata indimenticabile
a casa di Bruno Solipaca ed in compagnia di
Giorgio De Santis, Dante e Renato Granata,
Claudio Gerardini, Carlo Marcozzi e Renato
Lattanzi.
Arrivato a New York, visse un periodo nel Bronx, nel quartiere
“Piccola Italia”, poi nella zona del Westchester,
oggi nota zona residenziale. All’inizio si
arrangiava facendo il macellaio con il suocero
(già cittadino americano), ed inseguito, con un
cuoco sorrentino aprì un ristorante “da Capri”.
Uscito fuori dal mondo della ristorazione, per
via degli
inizi di collaborazioni con la “Voice of
America” e anche come corrispondente dall’estero
per giornali italiani. Iniziò anche con la tv
americana, presentando un programma televisivo
settimanale sulla rete “Wevd” e uno radiofonico
sulla “Whom”.
Mentre,
si stavano aprendo le porte dei famosi studios
americani con le “prime” mondiali del mondo
della celluloide. Numerosi e tanti, furono gli
attori ed attrici che ha intervistato e
conosciuto dei quali conserva ancora preziose
foto. Ha incontrato ed intervistato personaggi
come: Frank Sinatra, Dean Martin, Perry Como,
Rocky Marciano, Juan Manuel Fangio, Mario
Andretti e tanti altri
illustri personaggi.
Durante il lavoro
con Voice of America, Manocchia ha avuto modo di
intervistare cinque Presidenti americani:
Eisenhower, Kennedy, Johnson, Carter e Clinton.
Manocchia trovava anche il tempo per inviare,
tramite la Voice of America, servizi regionali
per l’Abruzzo, con la Rai di Pescara, allora
diretta dal noto giornalista Dino Tiboni. Iniziò
come corrispondente del “Messaggero” di Roma, il
“Secolo XIX” di Genova, la “Gazzetta di
Mantova”, ed altri. Poi l’incontro con il grande
giornalista Luigi (Gino) Palumbo che lo portò a
“Sport Sud” e poi al “Corriere della Sera”, dove
collaborò per nove anni, per poi passare alla
“Stampa” di Torino. E’ stato anche cofondatore
di “Stadio” di Bologna, assieme a Remo Roveri ed
altri, poi divenuto “Stadio-Corriere dello
sport”, la cui collaborazione continuò anche
dagli Stati Uniti con interessanti reportage. E’
stato inviato speciale di importanti testate,
narrando della “SAC”, la Linea aerea strategica
degli Usa, un paio di lanci di satelliti in
coppia col compianto collega Ruggero Orlando,
ricevendo anche dalla Commissione della Rai il
più alto elogio per una sua trasmissione
sull’anno geofisico. Senza trascurare di
intervistare tanti abruzzesi in America,
narrando le loro “odissee”. Corrispondente
ventennale con i settimanali automobilistici
“Rombo” (con Marcello Sabbatini, recentemente
scomparso), “Autosprint” e “Controsterzo”, ora
concentra la sua attività, malgrado le numerose
primavere, ancora pubblica i suoi lavori su
Internet. La sua famiglia è nata nel
giornalismo, dopo Lino, emergono Franco, ex
redattore del “Corriere della Sera” e poi Benny
(Benito), anch’egli dagli Stati Uniti per la “Rusconi”.
Manocchia ha avuto numerose offerte per scrivere
qualche libro sulla sua attività americana. Dopo
varie rinunce, sta preparando un volume “I miei
40 anni ad Indianapolis” la famosa 500 miglia,
la corsa più spettacolare del mondo. Oggi
Manocchia vive a Cambridge nello stato di New
York, insieme a suo figlio Adriano (sposato
anche lui con la giuliese, Teresa Schiavi), noto
artista e suo nipote Adriano Jr, manager del
reparto ricerche della Cornell University di
Ithaca a New York. Nonostante l’età, sfidando
spesso i disagi dei voli aerei, segue le varie
manifestazioni motoristiche delle quali è un
noto esperto, incontrando famosi attori
americani, appassionati di motori, una passione
nata da un’intervista a Tazio Nuvolari, prima di
una Coppa Acerbo a Pescara. |