Franco
Tancredi, il mondo in giallo e in rosso
di Ludovico
Raimondi
Roma, Domenica 2 Maggio 2010
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Di Franco Tancredi
non possono non colpirti tre qualità su
tutte: serietà, professionalità, semplicità. Le
qualità dei più grandi. Le qualità di
chi, nel suo caso, arriva all’apice dalla
gavetta, cibandosi di pane e pallone.
Tancredi è nato e cresciuto nella zona del
vecchio campo della fiera, ovvero del Rubens
Fadini, fucina di talenti. Chi è giuliese sa di
cosa stiamo parlando. Della mecca del calcio
giovanile. Non per niente anche suo fratello
maggiore, Pasquale, è arrivato a giocare nei
ragazzi dell’Inter euromondiale degli anni ’60.
Un marchio di fabbrica, insomma. Che Franco
fosse baciato dalla natura si capì da bambino. A
soli 17 anni esordì in Serie C, in piena epopea del
presidente Tiberio Orsini e del suo vice Pierino
Stacchiotti che portò il Giulianova anche a una
raffica di scudetti nazionali con le formazioni
giovanili. Tancredi, naturalmente, faceva parte
della nidiata.
Franco, quanto ti sembra lontano, oggi, il
debutto nel Giulianova?
“Non mi sembra così lontano, in effetti.
Soprattutto quando mi capita di ritornare nelle
vicinanze del Fadini, i ricordi e le sensazioni
sono ancora così vividi e forti che non sembra
siano trascorsi 36 anni nel frattempo”
Se la memoria non mi inganna, da giovanissimo
entrasti nel giro della Nazionale di Pallamano:
è così? Nel caso, come mai? E cosa ti fece
cambiare idea e sport?
“Sì, ricordi bene. A 16 anni, in seguito a delle
incomprensioni con la società, mi dedicai per un
paio di mesi alla pallamano, nel ruolo di
portiere
naturalmente! Grazie all’intervento di Nicola
Tribuiani, il mio talent scout, le divergenze
d’opinione furono appianate e così tornai alla
mia sola e unica passione: il calcio!”
Sei stato un “enfant prodige”: ma grande
portiere si nasce o si diventa?
“Credo che portiere si nasca, parafrasando Totò!
Non saprei spiegare altrimenti la vocazione che
spinge alcuni bambini a non litigare con gli
amici per un posto da attaccante, ma piuttosto
a preferire la “solitudine” e la responsabilità
di difendere la porta, rimanendo, anche
fisicamente, più distanti dal resto della
squadra. Come per tutte le professioni, però,
l’attitudine da sola non basta, il talento va
curato e migliorato quotidianamente attraverso
gli allenamenti e i sacrifici fatti dentro e
fuori dal campo”
![](roma_camp.jpg)
Franco Tancredi quinto da sinistra
in piedi
Sei stato l’erede di due grandi portieri,
Albertosi nel Milan e Paolo Conti nella Roma.
Come avvenne?
“Nel Milan, la mia squadra del cuore da bambino,
purtroppo non ho mai giocato, quindi più che
l’erede di Albertosi sono stato allievo,
osservandolo con grande attenzione e ammirazione
negli allenamenti per due anni. Con Paolo Conti,
invece, mi sentivo più “alla pari”, facendomi
trovare pronto il giorno in cui è arrivato il
momento di “ereditare” la sua porta”.
Cosa provi se ti ricordo le tue 258 presenze
consecutive in Serie A, seconda striscia di
presenze consecutive in campionato più lunga di
sempre dopo quella del leggendario Dino Zoff?
“E’ motivo di orgoglio seguire uno dei più
grandi portieri di tutti i tempi, ma lo
considero anche un risultato costruito “mattone
dopo mattone” grazie all’impegno speso in questa
professione”.
Scudetto con la Roma, finale di Coppa dei
Campioni con il Liverpool, Nazionale ai Mondiali
in Messico ‘86. Quali sono le soddisfazioni e le
delusioni che ti porti dentro per sempre di
queste tre tappe fondamentali della tua grande
carriera?
“Naturalmente la vittoria dello scudetto
rappresenta una delle gioie più grandi della mia
vita, per quella squadra che eravamo, per il
presidente Viola e per il calore di una
tifoseria unica al mondo, che solo un giocatore
della AS Roma può sentire e conoscere! La più
grande delusione, un dolore che sento ancora
oggi, è quella maledetta finale, giocata a Roma,
di fronte allo stesso pubblico e persa proprio
ai calci di rigore! Per quanto riguarda la
nazionale sono stato felice e orgoglioso della
convocazione al mondiale, “il traguardo” per
ogni calciatore, ma amareggiato per non avere
avuto, credo ingiustamente, l’opportunità di
mettere al servizio dell’Italia la mia forma
psico-fisica, in quel momento ottimale”.
15 Maggio 1983, il giorno dello Scudetto. Giro di campo dopo Roma-Torino 3-1
Si riconoscono:
il Capitano Agostino Di Bartolomei, a destra
Righetti,
a sinistra dietro Tancredi e Superchi
Chi è stato il compagno di squadra ideale?
“Anche questa domanda riapre una ferita, perché
la risposta è il compianto Agostino Di
Bartolomei. Un vero capitano, un romano doc e
generoso, che mi ha preso sotto la sua ala
protettiva al mio arrivo in città, grande come
uomo e giocatore”
E l’allenatore ideale con il quale hai lavorato,
come giocatore prima e come preparatore dei
portieri dopo?
“Come calciatore devo tutto a Niels Liedholm,
come preparatore dei portieri a Fabio Capello,
entrambi accomunati dalla stessa visione del
calcio e dalla passione per la cultura e l’arte
fuori dal campo”
E’ vero che con Capello, nonostante lo stretto
legame professionale e la stima, ti dai ancora
del Lei?
“Su un uomo carismatico e importante come Fabio
girano molte “leggende”, ma il rapporto che lui
ha con il suo staff è assolutamente amichevole e
di stima, compreso il fatto di darsi tutti del
tu”
Da preparatore dei portieri hai avuto esperienze
nella Roma,
nella Juve,
nel Real Madrid, ora
nella Nazionale inglese. Dove ti sei trovato
meglio, sul piano professionale e umano, e
perché?
“Sono talmente appassionato e dedito al mio
lavoro che sono stato bene ovunque. In più ho
avuto il privilegio di allenare numeri uno come
Buffon e Casillas, che posso chiedere di più?”
Il calcio italiano è
davvero il più stressante? Quali differenze
con il calcio spagnolo e
con il calcio inglese?
“La pressione ad alti livelli si fa sentire
ovunque, la tensione è parte dell’azione
agonistica in ogni Paese”
Si dice che l’Inghilterra, con la mentalità più
“italiana” portata da Capello nella nazionale e
da Ancelotti e Mancini nei club, può arrivare
molto lontano ai prossimi Mondiali, ma che il
punto debole è il portiere. E’ così? E,
comunque, è superato questo handicap?
“Lavorando
per la Federazione Inglese non posso che
augurarmi un Mondiale da protagonisti, portieri
compresi”
Chi è stato il migliore portiere che hai
allenato?
“Non mi piace fare classifiche delle persone con
cui ho lavorato. Posso dirti che, come
preparatore, mi sono sempre impegnato a tirar
fuori il meglio dai miei portieri, anche dai
giovanissimi, ognuno per ciò che poteva dare
secondo le sue specifiche caratteristiche”
E il migliore “rivale”, o il migliore in
assoluto, della tua epoca?
“Ritornando alla mia storia in nazionale, i
“rivali” da battere erano Galli e Zenga”
Chi sarà il "portiere" del futuro?
“In Italia, farei una scommessa su Marchetti del
Cagliari e Sirigu del Palermo”
Vivi a Roma, nonostante gli impegni all’estero e
nonostante i tifosi romanisti ti accusarono di
“tradimento” quando seguisti Capello alla
Juventus. Non disdegni nemmeno di tornare a
Giulianova. Quanto è difficile estirpare le
proprie radici?
“Roma non è il posto dove sono nato, ma è la
città che ho scelto e dove ho costruito una
famiglia. Il legame con questa metropoli è molto
forte e l’affetto delle persone non mi è mai
mancato, nemmeno nei momenti difficili. Le mie
radici affondano a Giulianova, sono ben salde e
mi hanno permesso di camminare anche nel resto
del mondo”
Se uno ti chiedesse “i tuoi colori preferiti?”,
risponderesti d’istinto il giallo e il rosso, i
colori della Roma e del Giulianova, o il rosso e
il nero della tua squadra del cuore, il Milan?
“Il giallo e il rosso sono i colori dei luoghi
che amo!”
Chi è Franco Tancredi, oggi?
“Un uomo di 55 anni, padre di due giovani donne
di cui va fiero, marito della “compagna per la
vita”, e un professionista realizzato e
fortunato che si augura di poter dare ancora
tanto al calcio”
Arrivederci, Franco. O goodbye, hasta la vista o, in
stretto dialetto giuliese, ciarvedome?
“Ciarvedome, naturalmente!”