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Stefano Olivieri, la voglia matta di panchina

 

di Ludovico Raimondi

SAN BONIFACIO (VR), 20.3.2016 -Una schiera di talenti porta in giro per l'Italia il marchio del vivaio dello storico Giulianova, che ora fa parte dei nostalgici ricordi. Stefano Olivieri ne è uno con appiccicato addosso il marchio di promessa incompiuta per volere della dea bendata. Nato a Giulianova il 22 giugno 1983, Stefano, maturità liceale allo Scientifico "M. Curie", è cresciuto nel settore giovanile della sua città imponendo precocemente il suo stile di difensore elegante e tempista, per accumulare con la maglia giallorossa, pur accompagnato da qualche acciacco, 52 presenze e 2 reti in C1 dal suo esordio a soli 16 anni nel 1999, prima di passare nel 2006 al Pescara, nel quale gettona 22 presenze e altre 2 reti in Serie B, e poi nel 2007 all'Ancona in C1 (23 partite) con promozione in Serie B, dove ha realizzato altre 2 reti in 16 partite. In tutto 74 presenze e 4 reti in C1, 38 presenze e 2 reti in Serie B. Nel 2009 l'approdo in Serie A al Chievo Verona, che in fatto di giovani certo se ne intende, ma qui, con i motori accesi sulla rampa di lancio, Olivieri a 26 anni è stato costretto a fermarsi per un infortunio al ginocchio e, dopo 2 anni e mezzo di traversie, a decidere giocoforza di abbandonare il calcio giocato per entrare, ancora precocemente, nello staff tecnico gialloblù. Esclusa la parentesi di allenatore in seconda nel Sud Tirol, stagione 2013/14, con il Chievo è stato dal 2011 collaboratore e poi allenatore in seconda della Primavera e Osservatore della prima Squadra con Corini, e, infine, 2014/15, Collaboratore Tecnico in prima squadra con lo stesso Corini e poi con Maran. Nel frattempo, si è sistemato a San Bonifacio, cittadina del veronese di poco più piccola di Giulianova, insieme a Silvia dalla quale ha avuto anche la gioia dell'arrivo di Filippo. Ovviamente, non si fa mancare mai l'occasione di una capatina a Giulianova, per riabbracciare papà Lino e mamma Franca, e respirare l'aria salmastra dell'Adriatico: E dentro tanta voglia di tornare nella mischia.

 

In attesa di rituffarsi nel calcio, chi è e cosa fa oggi Stefano Olivieri?

«E' un papà che vive con la propria famiglia a pochi chilometri da Verona e studia calcio ogni giorno con l'ambizione di affermarsi e crescere nel proprio lavoro.  Dopo aver smesso di giocare a calcio ho intrapreso la carriera di allenatore iniziando a collaborare nel settore giovanile del Chievo  per poi entrare a far parte nello staff tecnico di Eugenio Corini in attesa di una panchina»

 

Se dico Fadini, spiaggia, mare...cosa ti viene in mente d'acchito?

«Tutte cose che mi mancano da morire, sono una parte importante della mia vita. Vivere a 450 Km da Giulianova non è facile, il richiamo è sempre fortissimo . Quando ne ho la possibilità ritorno anche solo per due giorni, mi ricarica lo spirito»

 

112 presenze di cui 38 in B e 74 in C1, ritiro forzato per infortunio a 26 anni. Rimpianti, rabbia... Con quali sentimenti hai lasciato i campi di calcio?

«Durante una gara di campionato contro il Cittadella mi sono procurato una lesione del legamento crociato anteriore del ginocchio destro. Nonostante tre operazioni, ho continuato ad avere problemi e dopo un calvario durato due anni e mezzo non ce l'ho più fatta. Non sono uno che si lascia sopraffare dallo sconforto ma il rimpianto di non sapere dove sarei potuto arrivare c'è. Avevo raggiunto una discreta maturità tecnico-tattica ma soprattutto fisica, mi è dispiaciuto molto ma dovevo guardare avanti»

 

 

 

Olivieri stacca di testa in una partita con la maglia del Pescara

 

 

 

 

 

Cresciuto nel Giulianova, la squadra della tua città poi Pescara. Chievo Verona che ti ha richiamato. Che ricordi di ciascuna squadra?

«Giocare al Fadini è stato stupendo ma faticoso dal punto di vista mentale, ero giovane e in parte protetto ma non volevo deludere la mia gente e questo rendeva tutto più pesante ma ne è valsa davvero la pena. C'era tanto entusiasmo in quei giorni e molto seguito, ricordo che al termine delle partite, una volta uscito dallo spogliatoio era prassi trattenermi per qualche minuto nella sede della Scuola Calcio dove oltre a mio padre trovavo delle persone per me importanti che ci tengo a nominare come il grande Emilio Della Penna, Alfredo Cerasari e Francesco Ianni che mi hanno visto crescere del mondo calcistico. Momenti bellissimi trascorsi in un ambiente sano e familiare. Ricordo il primo gol in giallorosso durante un combattuto Giulianova-Paternò quando dopo pochi minuti dall'inizio del secondo tempo ho portato in vantaggio la mia squadra con un colpo di testa. La parentesi di Pescara è avvenuta in un momento societario difficile , retrocedemmo durante un'annata balorda, si innescarono strane dinamiche che ho capito solo dopo anni. Fu comunque una crescita per la mia carriera perchè ebbi la possibilità di confrontarmi con giocatori importanti. Ad Ancona invece ho vinto il mio unico campionato con un gruppo di ragazzi fantastici che porto ancora nel cuore. Non posso dimenticare la finale play off vinta contro un Taranto molto forte. Nel Chievo in realtà non ho mai disputato una gara ufficiale, ho solo svolto una preparazione pre-campionato nella stagione di mister Iachini»

 

A proposito di ricordi: quali ricordi hai degli allenatori avuti e per quale motivo? Cosa ti ha lasciato ciascuno di loro? Ricordi aneddoti particolari?

«Di Giorgini mi ha sempre colpito l'energia, la personalità  e l'intensità dei suoi allenamenti e un'ottima  fase offensiva  del  4-4-1-1 di stampo "sacchiano". Di D'Adderio invece ero innamorato della sua grande attenzione per la fase difensiva, mi ha insegnato molto. D'Arrigo è colui che ha creduto di più in me facendomi giocare anche fuori ruolo pur di avermi in campo. Ballardini mi ha fatto esordire in serie B e mi piaceva molto per i modi con cui spiegava i suoi concetti, una persona di grande umanità. Iachini mi piaceva per la cura maniacale del particolare e Francesco Monaco per la capacità gestionale del gruppo»

 

 

 

Olivieri in un'azione offensiva dell'Ancoina contrastato da Bonucci

 

 

 

 

Idem presidenti e compagni di squadra...

«Impossibile dimenticare la figura di Sandro Quartiglia che con grande competenza ha fatto vivere a Giulianova calcistica le pagine più belle e appassionanti, troppe volte contestato e ingiustamente costretto a cedere il passo a persone che non hanno saputo conservare il patrimonio costruito negli anni  con tanti sacrifici e con risultati importanti. Negli anni ho giocato con tanti ragazzi ma sono rimasto particolarmente legato al gruppo di Ancona, su tutti a Salvatore Mastronunzio, amico e bomber, e Fabio Di Fausto»

 

E' vero che sei particolarmente legato a Corini, di cui sei stato collaboratore di fiducia?

«E' nato quasi tutto casualmente quando io lavoravo per la Primavera del Chievo e lui subentrò a Di Carlo. C'era bisogno di una figura che osservasse le squadre avversarie e fui mandato al San Paolo di Napoli per studiare la squadra di Benitez in previsione della successiva gara di campionato. Il lavoro che produssi gli piacque e così iniziai a collaborare con il suo staff. Nel tempo la fiducia nei miei confronti è cresciuta e ora ci troviamo settimanalmente per aggiornarci e studiare le altre squadre del campionato italiano. E' un allenatore giovane preparato, con una grande voglia di emergere e carisma da vendere oltre che una persona per bene»

 

Come mai non sei rimasto nel Chievo di Maran?

«Dopo l'arrivo di Maran ho continuato a lavorare come collaboratore esterno  fino al termine della stagione fornendogli relazioni sulle squadre avversarie. Come lecito che sia,nel la stagione successiva ha preferito inserire nel suo staff un suo collaboratore di fiducia»

 

I rapporti con il presidente Luca Campedelli?

«Un normalissimo rapporto cordiale tra datore di lavoro e dipendente; in passato amministrava la società in modo più  "famigliare" mentre negli ultimi tempi qualcosa è cambiato, forse a causa dell'uscita di scena di tante persone storiche che hanno dato vita al mondo Chievo tra cui lo storico ds Giovanni Sartori»

 

Chi è il tuo allenatore ideale?

«L'allenatore numero uno è Carlo Ancellotti, persona genuina, vera, che trasmette serenità e sicurezza. Tutti i suoi ex calciatori lo adorano e lo stimano, mi piace il suo equilibrio che non lo ha mai portato negli anni ad avere atteggiamenti fuori dalle righe o a fare dichiarazioni altisonanti»

 

E il giocatore?

«Col sorriso sulle labbra ti dico Messi, perchè risolverebbe tanti problemi col minimo sforzo»

 

E la squadra ideale?

«Io sono milanista ma devo ammettere che la squadra ideale da allenare è la Juventus. Non parlo di valori dei calciatori bensì della struttura e della mentalità societaria che infonde in tutti i dipendenti un pensiero vincente. Esigono massimo rigore e serietà ma sanno bene quanto sia importante legittimare le scelte del proprio allenatore e non metterlo continuamente in discussione come accade ormai in moltissime altre squadre»

 

Quali sono i valori che ti hanno trasmesso l'ambiente famigliare e quello sportivo-sociale in cui sei cresciuto?

«Credo che la mia famiglia abbia avuto un ruolo importante soprattutto per avermi lasciato libero di scegliere e di divertirmi, senza mai crearsi o creare in me delle aspettative. Mio padre mi ha sempre seguito ma non ha mai espresso commenti sulla prestazione o giudizi nei confronti di altre persone. Il resto lo hanno fatto tutte quelle persone che mi hanno allenato fino ai 18 anni che a quei tempi vivevano la scuola calcio e il settore giovanile con amore e passione incondizionata»

 

Di che cosa ha bisogno il calcio, in particolare quello italiano?

«E' di vitale importanza cambiare la cultura secondo la quale il risultato è la cosa più importante, il nostro calcio ha bisogno di credere di più nei ragazzi italiani e dar loro il tempo di crescere e quindi di sbagliare. Ormai i nostri campionati sono strapieni di calciatori stranieri di livello mediocre che potrebbero essere sostituiti da ragazzi dei nostri settori giovanili»

 

Cosa pensi del Pescara e del Giulianova di oggi?

«L'attuale Pescara si trova in un periodo di difficoltà ma ha un ottimo organico e secondo me lotterà fino alla fine per andare in Serie A. Per quanto riguarda il Giulianova non so come stanno le cose per cui mi astengo dall'esprimere un giudizio. Posso solo dire che è un grande dispiacere vederlo annaspare tra i dilettanti senza un progetto o una speranza di poter costruire qualcosa di concreto. Un vero peccato»

 

Nel tuo futuro vedi una panchina oppure una scrivania?

«Senza dubbio sento di dover lavorare sul campo, di avere un legame con i ragazzi, trasferire le mie idee e condividere le emozioni con loro»

 

Alleneresti il Giulianova?

«Sarebbe bellissimo....chissà un giorno possa accadere!»

Uno dei talenti più promettenti del vivaio del Giulianova, con il quale ha debuttato in C1 a 16 anni, è stato costretto a lasciare il calcio giocato a soli 26 anni, nel Chievo Verona, per un infortunio al ginocchio. Collaboratore di fiducia di Corini, oggi, a 32 anni, si prepara per una panchina nella tranquillità di San Bonifacio, nel veronese, dove vive con Silvia e il piccolo Filippo.

 

 

 
 
 
 

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