TERAMO, 2.1.2013 -
L’impatto più evidente è sui Centri per
l’Impiego; nel capoluogo, in particolare, da
questa mattina, c’è la fila davanti agli
sportelli. Ma, naturalmente, si rilevano disagi
e difficoltà in numerosi settori dell’ente dove
da oggi non ci si può più avvalere dei
dipendenti della Teramo Lavoro: 110 persone alle
quali la società in house non ha potuto
rinnovare i contratti in scadenza perché la
Provincia, a causa dei tagli confermati con la
Legge di stabilità, è stata costretta a non
reiterare le convenzioni. In questo momento,
infatti, non ci sono né le risorse del Fondo
sociale europeo (situazione comune anche ad
altre Province) utilizzate dal settore Lavoro né
quelle di bilancio che servono agli altri
settori.
Il presidente Catarra, insieme all’assessore al
Lavoro, Eva Guardiani, sta valutando un’ipotesi
di riorganizzazione riguardante tutti e cinque i
Centri: dalla sospensione dei servizi
specialistici assicurati da figure professionali
fornite dalla Teramo Lavoro, alla riduzione
degli orari di sportello fino all’accorpamento
di alcuni di essi.
A Teramo, però, circostanze e condizioni sono
peculiari ed è per questo che l’assessore Eva
Guardiani
(foto),
nella conferenza dei dirigenti della settimana
scorsa, ha già formulato la sua proposta:
chiudere il Centro di via Campana e trasferire i
servizi in via Taraschi.
“Nella sede dell’Assessorato, in via Taraschi,
soprattutto con la scadenza dei contratti della
Teramo Lavoro, possiamo recuperare ad uso utile
molte stanze. Inoltre vi sono dipendenti del
settore che possono coadiuvare i loro colleghi
del Centro per l’Impiego – dichiara
la Guardiani – si tratta di mettere a
punto questioni pratiche e logistiche che devono
essere affrontate dai dirigenti ma è una
soluzione altamente percorribile. Risparmiamo
gli oltre quattromila euro di affitto al mese,
utilizziamo locali vuoti, razionalizziamo
l’organizzazione del personale a tempo
indeterminato e, soprattutto, garantiamo i
servizi essenziali con il minor disagio
possibile agli utenti”.
A fianco dei servizi specialistici, oggi
sospesi, i Centri devono garantire servizi
pubblici essenziali come le procedure per la
mobilità e la disoccupazione di utenti che,
evidentemente, vivono già una personale
condizione di difficoltà avendo perso il lavoro.
Poi ci sono, solo per citare le più frequenti,
quelle relative alle comunicazioni obbligatorie
fra datore di lavoro e dipendenti e le
attivazione di tirocini.
“In questa assurda guerra alle Province il
Governo non ha calcolato gli enormi costi
sociali delle sue azioni – afferma il
presidente Catarra – da oggi in molte
Province italiane è il caos e non solo per i
Centri per l’Impiego. Le decisioni che abbiamo
dovuto assumere negli ultimi giorni non hanno
precedenza nella storia dell’ente e le
conseguenze e gli effetti negativi si
cominceranno a misusare in tutta la loro
drammaticità nei giorni a venire”.
Il riferimento è anche alle decisioni
assunte a maggioranza nel Consiglio
dell’ultimo dell’anno.
E’ stato deliberato di avviare immediatamente le
procedure di dismissioni per le seguenti
società: Borghi scarl; il Centro Ceramico
Castellano; la Socart società consortile
artigiani; il Consorzio Alfa; la Banca Etica.
Deliberata anche la revoca delle partecipazioni
in altri organismi: Museo dello Splendore di
Giulianova; Area Marina Torre del cerrano;
Associazione Culto e Cultura; Teatro stabile
abruzzese; Società dei Concerti “Riccitelli”;
Coordinamento Agenda 21; Associazione delle
Città Strategiche; Unione province d’Abruzzo;
Lega delle Autonomie. Per alcune di queste
iniziano le procedure di revoca ma, come
specificato in Consiglio dallo stesso
Presidente: “In considerazione dell’alta
funzione culturale che alcune associazioni
svolgono, la Provincia si riserva di ripristare
un contributo non appena e se si verificheranno
dei mutamenti nello scanrio finanziario”.
Un pacchetto che pesa, economicamente, circa 400
mila euro. Discorso a parte per l’Istituto
superiore musicale Braga e per l’Ente Porto di
Giulianova. Quello al Braga, circa 500 mila euro
l’anno è un contributo ordinario e, quindi, il
Consiglio non doveva decidere la “dismissione”.
“L’entità del taglio, che comunque dovrà
esserci, sarà deciso in seguito – spiega
Catarra – abbiamo convocato una riunione con
la Regione, il Comune di Teramo e lo stesso
Braga per il prossimo 4 gennaio. Una cosa è
certa perché la diciamo da tempo: la Provincia
non può continuare, soprattutto ora, ad essere
il principale ente finanziatore”.
Si è deciso invece di non uscire dall’Ente Porto
perché la Provincia è tornata a chiedere la
trasformazione da Ufficio circondariale a
Capitaneria: una richiesta che l’ente ritiene
fortemente motivata e strategica per lo sviluppo
della marineria provinciale e che non avrebbe
alcuna chance senza la partecipazione della
stessa Provincia.
“Una soddisfazione amara: alla luce di quanto
sta accadendo in molti comprendono meglio il
ruolo della Provincia che ha garantito, in
questi anni, lo sviluppo di fondamentali presidi
culturali, sociali ed economici. Una risposta,
purtroppo brutale, a quanti si chiedono a cosa
serve la Provincia” chiosa Catarra. |