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  Italia-Paraguay 1-1

 

Benny Manocchia: Questione di metodo

Usa, Martedì 15 Giugno 2010 - Da Benito “Benny” Manocchia, giuliese in America, riceviamo e pubblichiamo queste considerazioni personali sulla prima partita degli Azzurri  ai Mondiali in Sud Africa, 1-1 nell'esordio con il Paraguay:

Caro Direttore,

la nostalgia qualche volta diventa una specie di ossessione perchè è in contrasto con le "cose nuove" che essendo appunto di oggi sono, o dovrebbero essere, migliori. Per esempio, ho nostalgia del calcio dei nostri giorni. Ricordi? C'era il "metodo" (portiere, due terzini, tre mediani, cinque attaccanti con le ali pronte a tornare indietro per aiutare la difesa se necessario). Con il metodo, se ho letto bene, abbiamo beccato due campionati del mondo. Si registravano molti gol, che in fondo sono come il ko nel pugilato. La gente pagava per vedere il pallone nella rete.

Poi giunsero gli "allenatori" con contratti da capogiro. Dovevano far vedere che meritavano quelle cifre incredibili, così pensarono al "sistema". Ma piano piano anche il sistema dovette cedere il passo allo "stile nuovo",  quello che vediamo oggi. Quattro o cinque difensori dinnanzi alla porta, un paio al centro, uno "libero" un po' piu' avanti e due all'attacco. Diciamo due ma più spesso è un solo giocatore che cerca di segnare. Insomma messo lì che aspetta il pallone. Come ieri Gilardino solo solo all'attacco. Ecco, caro Direttore, che cosa non mi convince. Ma se quasi sempre c'e' un unico attaccante avversario, perche' l'altra squadra allinea cinque difensori? Cinque contro uno? Non ha senso se si vuol vedere il vero calcio.

Non importa come vorranno chiamare la prossima tecnica calcistica dei nuovi allenatori, che dovranno pur cambiare come i loro predecessori perchè adesso i loro assegni annuali assomigliano ai budget  di piccole nazioni. Possesso palla è bello, interessante, ma non vince una partita. Bisogna tirare in porta, una media di 30 volte in novanta minuti. Palla al piede e via, tirare in porta, una, dieci, venti volte, prima o poi si segna. Ne perderà un po' il gioco a centro campo? Forse. Ma il gioco a centrocampo non fa saltare di gioia, urlare a squarciagola il tifoso che vede la sua squadra segnare. Sbaglio?

Benny Manocchia
Dico la mia
  Il grigiume dell'Italia ci insegna prudenza
Caro Benny,
personalmente io non credo molto nei moduli in quanto tali, ma nella loro applicazione sì. Nel senso che tutti i moduli possono essere validi se interpretati a dovere da un  gruppo di giocatori validi e con le caratteristiche giuste. L'Italia Campione del Mondo in Spagna nel 1982 e in Germania nel 2006 ha fatto perno su un blocco, per la precisione della Juve, per tre quarti composto da fuoriclasse. Basta rileggere le formazioni. L'Italia del Sud Africa si porta addosso la croce di una straripante superiorità di organico dell'Inter, composto quasi esclusivamente di stranieri, che ha impoverito la qualità del resto. Quel "resto" che ai Mondiali, oltre a giovani di belle speranze ma con poca esperienza internazionale, deve affidarsi a un blocco Juve nel quale tre fuoriclasse - Buffon, Cannavaro e Camoranesi - denotano crepe fisiche o anagrafiche, al pari dei tre mondiali Zambrotta, Pirlo, Gattuso del "blocchetto" Milan. Contro il Paraguay l'Italia è stata lodevole sul piano del gioco, come dici tu del possesso palla, e nella varietà di "moduli" adottati da Lippi, dal 4-2-3-1 al 4-4-2 e simili, ma mi è parsa un grigiume, in linea con il calcio italiano di questi anni. Contro un avversario attendista, chiuso e tosto sono mancati la fantasia, l'estro, il colpo di genio sia nella giocata individuale sia nel rifornimento al "povero" Gilardino. Tutte doti che sono nelle corde di un Cassano, di un Totti, di un Del Piero, di un Balotelli i quali, per differenti e rispettabili ragioni, non sono in Sud Africa. Attenzione, però. Le Italie di Lippi, come la sua antenata di Bearzot, sono d'acciaio nel carattere, nell'orgoglio e nello spirito di gruppo "contro": contro la stampa, contro chiunque osi criticare o nutrire perplessità e dubbi. Per non dimenticare che la preparazione psicofisica - lo insegna l'esperienza - porta gli Azzurri ad esplodere nell'ultima settimana, quella decisiva. Prudenza, dunque, nelle sentenze. Come si dice dalle nostre parti? I cavalli si vedono quando arrivano alla Madonna. Alla prossima.
Ludovico Raimondi
Benito “Benny” Manocchia è nato a Giulianova e, come suo fratello maggiore Lino, si trasferì negli USA nel 1955 da dove cominciò a collaborare con alcuni giornali italiani. Firmò un contratto con la Rusconi Editore, casa editrice alla quale è rimasto legato per quasi 30 anni, girando mezzo mondo per servizio. Ha scritto “un paio di libri che nessuno ha letto”, si schernisce. Sogna spesso il pesce fritto di Giulianova, le lunghe nuotate da un molo all'altro, le traversate di migliaia di...metri con il sandolino e gli amici che ha lasciato a Giglie.
 

 

 

 
 
 

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