Come si vive lontano da Giulianova?
“Mi
chiedi se soffro di nostalgia? Conoscendo il mio
carattere con tutte le contraddizioni di
odio-amore che invadono le mie azioni
quotidiane, ti dico francamente di no. La tua è
una domanda complessa, fatta apposta per tirare
fuori l'affetto che senz'altro nutro per
Giulianova e nello stesso tempo anche verso la
mia famiglia bresciana che “curo” da 38 anni. E
poi la vita non è fatta di solo bianco e solo
nero ma di tanti toni di grigio che vanno dal
bianco al nero. Quindi gli affetti si
“mescolano” l'uno con l'altro tra di loro e non
ci sono conflitti tra le due parti”.
Quale occasione ti ha portato via dalla tua
città? Tuo fratello Vittorio giornalista a Roma,
tu insegnante e artista a Brescia...Come è
successo?
“Tra i fratelli certamente Vittorio è stato
quello che dal punto di vista del lavoro è stato
determinante per molti aspetti. Infatti è stato
lui che mi ha introdotto a Roma nel '61 come
disegnatore e impaginatore nelle redazioni
giornalistiche della Azione Cattolica e poi
ancora lui a farmi lavorare nella prestigiosa
Editalia, editrice d'Arte, conoscendo artisti
del calibro di Alberto Burri e Mario Schifano e
critici come Cesare Brandi.. E poi
ancora nel '65 a suggerirmi “lo sbarco” nella
più grande provincia scolastica italiana del
Nord che era Brescia. Non avevo la corda che
teneva chiusa la valigia, ma quasi...”
Anche tu, come Vittorio, non nascondi la tua
passione per il Giulianova Calcio: quali sono i
tuoi legami con autentico questo fenomeno
sociale e di costume, oltre che sportivo, di
Giulianova?
“La
passione per questo sport ha contaminato tutti
noi 5 fratelli fin da piccoli, come del resto
succedeva in quegli anni per il 90% dei ragazzi
giuliesi. Quindi “lu pallò” era il pane
quotidiano sia nell'attività giornalistica e sia
nello sport attivo che ha visto 4 dei 5 fratelli
impegnati in categorie diverse al Rubens Fadini.
Facendo una valutazione sociologica direi che il
calcio è lo sport più bello che esista, se poi
ci sono, come di ogni cosa, gli aspetti
estremi che portano alla
violenza, allora questo dipende dagli
organizzatori e dirigenti che dovranno valutare
il da farsi e non dai calciatori. E purtroppo
all'Italia, oggi come oggi, manca il personale
dirigente adeguato per risolvere questi
problemi. Certo, dispiace vedere delle famiglie
intere rinunciare a trascorrere tranquillamente
la domenica allo stadio e rimanere invece in
casa a vedere la stupida TV”
Abbiamo pubblicato alcune tue caricature di
vecchi giuliesi. Chi sono o chi erano i tuoi
amici d'infanzia e di gioventù?
“La
mia casa paterna era nel quartiere La Rocca, e
quindi in mezzo a tante botteghe artigiane
(povere, ma belle!) ho vissuto la mia infanzia
fatta di tante partite e tornei di calcio
soprattutto contro i ragazzi del quartiere La
Misericordia. Erano, questi, autentici derby. E
poi tante sfide o gare di circuiti a palline o
tappi di gassosa con dentro i ritratti dei più
grandi ciclisti dell'epoca. Ricordo dai 10 ai 13
anni con i compagni di quartiere le molte
“camminate” verso la campagna di Montone a
caccia di lucertole o api-regine oppure,
rischiando di essere impallinati da un fucile a
sale, a “rubare” la frutta, soprattutto l'uva.
Insomma un mondo umanamente caldo, che ritrovavo
in tre ambienti diversi: quello della scuola,
quello del quartiere e quello della parrocchia.
Quindi direi francamente erano così tanti i miei
amici che non saprei contarli e neanche dirli
soprattutto per rispetto di quelli che poi non
vengono citati. Le caricature fanno riferimento
ad un ambiente, il Bar Nino De Martiis, che
saltuariamente, ma con una certa regolarità ho
frequentato tra i 18 ai 21 anni”.
Cos’era per voi il vecchio Caffè De Martiis?
“Nino De Martiis era un personaggio che poteva
stare benissimo in un film di Humphrey Bogart,
simpaticissimo col suo sbuffare. E' stato lui a
incoraggiarmi a fare le caricature, che
custodiva gelosamente sotto al banco, per farle
vedere col suo “modo rispettoso” agli amici. Era
un rituale quello di Nino fantastico. Ma tutto
il campionario umano del Bar era una autentica
giostra di personaggi che, a secondo gli orari,
venivano a giocare a boccette, a bigliardo, a
carte. Solo che io più che a disegnarli sul
posto, tornavo a casa e con un gioco di memoria
mettevo giù la caricatura”.
Cosa hai trovato da "emigrante": successo,
sicurezza, benessere?
“A
Brescia ho trovato una moglie buona, bella e
intelligente che mi ha dato due figli e poi una
città dal carattere duro ma ospitale e sincera.
Nel nord, quando sono arrivato, ho capito che il
lavoro era come il pane, nel senso che non
mancava (a quei tempi!) l'opportunità di
inserimento, e quindi per un carattere come il
mio, iperattivo, non
mi
mancava l'occasione di mettermi in mostra. E poi di pari passo,
l'attività di insegnante si affiancava sempre
all'attività artistica. Alla mia prima personale
c'è stato subito il “reclutamento” nel gruppo
extraparlamentare dei Marxisti-leninisti.
Esperienza che è
durata con tante collettive tra le quali una al
Museo d'Arte Moderna a Parigi sempre sui temi
sociali e politici di quegli anni (siamo nei
primi anni '70) che portarono alle conseguenze
terribili della Strage in Piazza Loggia. Quel
giorno io, e mia moglie in particolare, siamo
scampati per miracolo. Poi col tempo, dopo quel
“periodo caldo” piano piano ho avuto le mie
belle soddisfazioni borghesi, non solo a Brescia
ma anche a
Milano, dove ho trovato le persone giuste nella
Tanzi-Design di corso Monforte, terminata con
una bella recensione nella rivista CasaVogue.
Certo, col successo arrivavano anche certe
gratificazioni economiche e quindi le
esposizioni si sono
“allargate” in altre città fino agli inviti
recenti in Germania, dove ho trovato una
accoglienza favolosa, alla Heine-Hause di
Luneburg terminata con le recensioni su una
rivista di prestigio come ArtMagazin. Insomma
non mi posso lamentare”.
AAB
Brescia, 1976.
Personale con una
Installazione sul Realismo Europeo
dedicata alla Strage di
Piazza Loggia
Cosa ritrovi, invece, tornando a Giulianova?
“La
tranquillità del sito turistico che si combina
con l'accoglienza simpatica e spontanea dei
vecchi amici; il tutto “condito” con delle belle
zuppe di pesce alla giuliese. La vita
semplice e il ricordo continuo degli affetti,
non solo verso le persone, ma verso la luce, gli
alberi, certe case ancora con i mattoni, il
profumo del mare, il Kursaal, il lungomare per
non parlare del “nostro Belvedere”: un'autentica
e strepitosa vista mozzafiato sull'Adriatico,
Ecco il mio mare!”
E'
giusto definirti Giuliese doc e bresciano dac
(denominazione di adozione cittadina)?
“Fate vobis, diceva il prete! A Brescia non ho
mai smesso di dichiararmi “un terroncello” e
quindi l'adozione con i cari parenti e amici
bresciani non l'ho mai rifiutata, ma l'ho
vissuta sempre goliardicamente, con gli “sfottò”
reciproci”.
Insegnante e scultore: A chi dei due Nevio sei
più "affezionato"? E come si sono comportati con
te nel corso della tua vita? E tu con loro?
“L'arte è la materia che mi ha segnato nel vero
senso della parola. E quindi tutto il resto è
venuto dietro. Certo, ho fatto l'insegnante
delle materie artistiche in maniera conseguente,
ma
non per questo ho rinunciato a “prenderci
gusto”, anzi ho trovato spesse volte nella
fantasia dei bambini le idee non solo per farli
crescere nelle loro personali espressioni, ma
anche per migliorare me stesso nel lavoro,
quando tornavo nel mio atelier. Ci sono stati
tanti artisti noti e meno noti che hanno
combinato le due attività in maniera esemplare,
ed io sinceramente devo dire, adesso che sono in
pensione, di aver trovato soddisfazione in
ambedue le attività”.
Premio Venanzo Crocetti: quale lezione ti ha
lasciato questa prima esperienza di ritorno
d'artista?
“La
mia scultura è piaciuta moltissimo, nelle
cosiddette votazioni popolari, e questo mi ha
molto gratificato. Se poi non ho vinto, vuol
dire che malgrado anche la giuria avesse
espresso un buon giudizio nei miei confronti, ha
ritenuto poi di scegliere giustamente qualcuno
della nuova generazione. Questa è stata una
scelta saggia, visti i tempi che corrono
soprattutto per i giovani. Quanto
all'organizzazione avrei delle perplessità,
anche perchè il Premio era al primo anno. Avrà
tutto il tempo per migliorare nelle prossime
edizioni”.
Hai
in programma una mostra di caricature su Come
eravamo a Giulianova. Se dovessi farne una su
"Come siamo" o "come saremo" chi o cosa
metteresti a berlina?
“Ho
trascorso un periodo degli anni settanta a
Brescia con un gruppo di extraparlamentari, e lì
mi sono “sfogato “ con le caricature facendo
manifesti contro i governi democristiani di
Rumor, Andreotti. Mbè, oggi ne vorrei fare tante
su Berlusconi,
La
Russa, Gasparri. Personaggi che si prestano
benissimo, ma purtroppo questo tipo di Disegno,
ahimè, non l'ho più coltivato, per scelte di
lavoro. Mi piacerebbe però vedere volentieri un
giovane caricaturista giuliese che pubblicasse
su un quotidiano nazionale i suoi disegni. In
fondo, l'ironia della caricatura serve a
stemperare gli animi e portare un pochino di
“ragione” a chi nella politica l'ha persa, per
motivi di egoismo e di potere
personale”. |