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Il boxing americano al cioccolato

 
Don King, il più popolare manager e promoter di pugilato della storia
 

NEW YORK, 16.8.2015 - Abbiamo parlato, discusso, con esponenti di tre discipline sportive - Baseball, Boxing ed Atletica leggera - i campi più accerchiati dalla piovra color cioccolato.

«Vuol sapere il perchè? - ci rispondeva il direttore della rivista ‘Ebony” a precisa domanda -  Perchè i vostri atleti bianchi sono “lazy” (stanchi, apatici, pigri).Stanno troppo bene, non hanno bisogno di praticare lo sport per vivere. Lo fanno per “hobby”, passatempo,”sfizio” direbbero a Napoli».

Il nocciolo della questione è tutto qui: il benessere.

Il boxing mondiale italiano, per esempio, è ricco, ricchissimo di nuove leve. Quello americano, langue, è quasi moribondo perchè i  bianchi dormono, i negri si battono per la pagnotta, i portoricani per il “posto al sole”.

Nel baseball, la medesima cosa. La macchia d’olio, per quanto assurdo possa sembrare, sta espandendosi aprendo la porta alla razza di colore che conquista primati dietro primati. Nel boxing mondiale la massima parte delle categorie sono dominate dai “colored” che conquistano facilmente primati a volontà. Nel boxing mondiale la massima parte delle categorie sono dominate dai negri, i bianchi figurano per onor di bandiera.

C’è chi predice, a malincuore, che in un futuro alquanto imminente, la razza bianca scomparirà dalla  boxe mondiale.

 

«Se il pugilato americano declina, quello europeo risorge, ad opera  di nuove forze in virtù del suo animo giovane, forte e cavalleresco».

 

Il redattore capo della “Star Gazette” ci ha detto: «Scomparsi  Franchie Gennaro, Griffith, Patterson, Moore, Johnson, Venturi, Minelli, Rochy Marciano che hanno menato le mani, si è aperta la porta ad una florida schiera di atleti di colore. Perchè questi e non i bianchi?»

 

La stessa  domanda l’ho rivolta a  due giornalisti specializzati nel baseball.

La risposta è simile a quella che l’’eroe  della pallabase Joe Di Maggio ebbe a dirmi tempo fa: «Siamo alle ultime boccate d’ossigeno necessario a sopravvivere, i bianchi occupano buone posizioni, non devono sudare più per guadagnarsi il pane. Perchè ammazzarsi sul campo quando si può ammirare la partita dinanzi alla tv? Hanno più volontà, sono più agili, meno veloci nell’apprendere una cosa,  più rapidi nelle azioni sportive ed ansiosi di  guadagnare bene».

 

Oggi il baseball vive di memorie intessute sui nomi di Babe Ruth, Gehrich, Rizzuto, Berra, Mantle a tener su moralmente la palla base. Mentre i colored tentano di far dimenticare i nomi gloriosi carichi di ’Home  run’ ed azioni elettrizzanti.

Potranno resistere i bianchi a questa marea invadente?

Durante una sosta a Chicago conversavamo con Jesse  Owens, ex campione di Atletica leggera. Accanto a lui un omone nero, prontamente esplose un suo punto di vista: «Voi bianchi -disse- siete per la discriminazione. Noi lavoriamo come voi, conquistiamo i titoli agli Stati Uniti e volete ridurci in polvere».

 

Spiegai in breve che chiedevamo il parere dei  grandi negri. Owens ricordò un dettaglio al quale aveva assistito alle Olimpiadi di Roma del 1960.

«Confesso - diceva Jesse - di aver assistito a scene veramente commoventi. Voi italiani siete grandi in tutto. Ho visto scene veramente commoventi. Voi italiani siete gradevoli in tutto. Da voi non esistono lotte razziali. Qui i negri devono farsi largo con i gomiti. Per fortuna noi dominiamo nello sport. Magra consolazione!!!».

 

Il discorso di Owens non faceva una grinza, lo stesso dicasi per l’argomento esposto dalla “roccia” di Brockton”, Rocky Marciano: «Gli italiani sono grandi in tutto, a parte l’organizzazione. Hanno un cuore così».

La boxe americana, diceva il campione, «è finita  da quando mi son ritirato. Perchè voglio andare in Europa, Italia, Francia  a cercare di scegliere ottimi elementi da importare? Perchè sennò tra qualche anno lo sport dei guantoni sarà di proprietà negra».

 

Premetto che Marciano non era un razzista, tant'è che  aveva alle sue dipendenze, insieme a molti bianchi, numerosi operai di colore.

 

«Questa è un’attesa snervante che demoralizza e basta. I bianchi, i miei connazionali, preferiscono una passeggiata al chiaro di luna ad un match della boxe. I tempi belli, duri della boxe sono finiti. Una volta sì che si combatteva, ci si  allenava, si amava la Noble Art. Chiedetelo a Jack Dempsey»

 

«E’ vero - confermò lo ‘squartatore’ -. I pugili di oggi vogliono incassare milioni di dollari in un match e poi si ritirano. La boxe è diventata uno sport corrotto proprio per questo motivo»

 

E allora il doping nel calcio?

«Altro che doping nella boxe! Un maremoto velenoso. Non credo che riusciranno a riportarlo al livello di un tempo».

 

E’ stato un pianto accorato,sereno ed  accusatore che non da adito a battibecchi e contrattacchi.

La piovra di cioccolato ha cominciato, serena, a estendere le sue lunghe braccia dal 1951

l'angolo sportivo

di Lino Manocchia

 
Rispolveratura di un'inchiesta
 

«La piovra al cioccolato sovrasta, ora più che mai imperversa, sul bianco e lo attanaglia sempre più. Tentare di  minimizzare la cosa o cercare attenuanti che non reggono, appare tentativo vano quanto inutile. I fatti. gli avvenimenti, le situazioni parlano un linguaggio preciso».

 

Questa è la conclusione a cui giungeva un’inchiesta che Lino  Manocchia condusse qualche decennio fa da New York a Los Angeles.

Non tutto si è avverato o si è avverato secondo le predizioni e le previsioni nate dal momento vissuto all'epoca dalle tre discipline sportive prese in considerazione (sul pugilato italiano odierno, per esempio, è meglio stendere un velo pietoso). Appare interessante, tuttavia, come già da allora si avvertisse l'influenza del cosiddetto "benessere" nel senso dell'appagamento e dell'attenuazione delle motivazioni agonistiche che hanno toccato in particolare, il pugilato, la cui peculierità nell'epopea d'oro, è stata proprio la voglia di riscatto sociale dei malfamati ed emarginati, la cosiddetta "fame", agonistica e reale, che ha alimentato la disposizione al sacrificio e la carriera della maggior parte dei pugili. Oltre che, naturalmente, al talento e alle doti tecniche che i più grandi hanno saputo mettere a frutto nel migliore dei modi (dir)

 

 

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