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Numero 11 - Luglio
 
il profilo
 

 

Donatella Forcini è nata a Giulianova il 19 ottobre 1984. Dopo il liceo scientifico M. Curie, studia Sociologia e Scienze Politiche a Bologna. Durante la specialistica in Sociologia trascorre quasi un anno a Barcellona, in Erasmus, per periodo di studi all’ Università Autonoma.

 

Poco dopo il rientro in Italia, si trasferisce a Roma per un Master in “European Studies” alla Luis Guido Carli con borsa di studi. Grazie al Master partecipa e vince il programma Leonardo con il quale arriva a Berlino per un tirocinio alla Caritas, al termine del quale

inizia una collaborazione con il commissario per l’integrazione di Berlino che l'avvicina al mondo dei progetti Europei. Qui pianifica il suo primo progetto Erasmus+, un partenariato strategico con 5 paesi Europei ed extra sull’integrazione e la diversità culturale.

 

Nel 2015 entra a far parte della Caritas di Berlino dove lavora tutt’oggi. Nella Caritas ha iniziato come Sociologa in un progetto per l’integrazione dei Rom che l'ha avvicinato al servizio sociale. Decide cosi di intraprendere un nuovo percorso di formazione e di iniziare la carriera come assistente sociale che porta a termine nel 2017. Nel frattempo lavora e studia il tedesco.

 

Una volta superato l’esame di stato per la registrazione all’albo degli assistenti sociali A in Abruzzo Donatella richiede il riconoscimento della laurea in Germania (Anerkennung). Dopo un breve periodo nell’ università di Berlino “Alice Salomon” e la certificazione linguistica del tedesco C1 ottiene il riconoscimento come Assistente Sociale che la porta a una nuova funzione lavorativa all’interno della Caritas, ruolo che ricopre tutt’ora.

 

Dal 2018 è Project Manager presso il “Servizio per Giovani Immigrati”. Il suo lavoro consiste nel supportare giovani tra i 12 ei 27 anni con un background migratorio e provenienti da contesti difficili.

 

Durante il lavoro alla Caritas ha avuto l'opportunità di lavorare su progetti già avviati, nonché sulla realizzazione di nuovi progetti Europei ed eventi di vario tipo. La pianificazione di nuovi progetti, la creatività e innovazione sono due elementi molto importanti nel mio lavoro.

 

Nel 2019 ha avuto l’opportunità, durante una visita ad un’organizzazione partner nell’ isola di Lesbo, di visitare il campo profughi di Karatepe in Grecia. Esperienza che ha segnato profondamente il suo lavoro.

 

Viaggiare per è una delle cose più importanti della vita di Donatella, spesso da sola, zaino in spalla. La sua compagna di avventure è la sua Polaroid che le regala sempre fantastici ricordi in immagini. Adora la musica e il Pilates.

 
 
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ATTUALITA'

giuliesi nel mondo 2021

 

di Ludovico Raimondi

 

Sociologa Project Manager in Germania

Donatella Forcini, faro giuliese della Caritas di Berlino
 

 

LUGLIO 2021 - Emigrare per occuparsi di migrazione. C'è un che di paradigmatico in questa locuzione che comprende un sacco di contenuti e di significati sociali, culturali, umani, politici, occupazionali, economici. Un mondo, insomma.

 

Quel mondo nel quale opera un'altra giovane giuliese, Donatella Forcini, 36enne sociologa, assistente sociale e Project Manager che vive e lavora a Berlino al servizio della Caritas e, soprattutto, di chi cerca un riparo di dignità dalle traversie del fenomeno migratorio.

 

Donatella è approdata a Berlino sei anni fa, ma il suo zaino, con il quale ama viaggiare insieme con l'inseparabile Polaroid che ne immortala le tappe e i momenti più emozionanti, è colmo di esperienze professionali e personali in più continenti, come accade a chi ha una visione globale del lavoro e della vita stessa, una raccolta inesauribile di storie quotidiane, complesse ed esaltanti (emblematica quella della piccola Noelia che leggerete più appresso).

 

E grazie alla Caritas ha viaggiato senza sosta tra conferenze e training internazionali che le hanno dato la possibilità di visitare posti come la Giordania, la Turchia, la Colombia e il Brasile.

 

Donatella appare una giovane determinata e ambiziosa ma anche appassionata della sua "missione" tanto da affermare: «ad oggi posso dire di ritenermi una donna fortunata perché posso sentirmi fiera di portare avanti quello in cui credo. Il mio lavoro è la mia identità ed è la mia passione».

 

Foto scattata durante la visita di Donatella alla Caritas di Medellin in Colombia: «I bambini sono tutti rifugiati venezuelani. La Caritas colombiana ha lavorato in prima linea per l'accoglienza dei Venezuelani durante la forte crisi di governo. Questa era una casa famiglia per il Progetto Venezuela».

 

 

Donatella, assistente sociale alla Caritas di Berlino. Di cosa e di chi ti occupi in particolare?

 

Sono Project Manager dello Jugendmigrationsdienst (Servizio per giovani immigrati). Il mio lavoro consiste nel supportare ragazzi tra i 12 ei 27 anni con un background migratorio e provenienti da contesti difficili; aiutarli ad affrontare la loro vita quotidiana e sostenerli durante il loro processo di integrazione nella società tedesca. L'obiettivo primario è l'integrazione nel sistema educativo/formativo tedesco. Tra i miei utenti ci sono anche famiglie in situazione di precarietà senza diritto alle prestazioni sociali. Dopo un primo colloquio viene stilato un piano di integrazione sulla base dei bisogni e insieme lavoriamo per raggiungere gli obbiettivi. Ad oggi ha avuto l’opportunità di ascoltare più di 350 storie di ragazzi arrivati da moltissimi paesi quali Siria, Palestina, Afghanistan, Eritrea, Etiopia, Sudan ma anche Colombia, Venezuela e Italia. Una parte importante del mio lavoro è la rappresentanza politica della Caritas, così come il networking, l'avvio e il mantenimento del dialogo, sia con le organizzazioni partner che con le varie istituzioni locali. Ciò include la partecipazione a riunioni di rete regolari con le più importanti istituzioni della città e del paese. La maggior parte dei progetti della Caritas sono finanziati dal Ministero o dal Comune per cui una parte importante del mio lavoro è la comunicazione regolare con i rappresentati politici che finanziano i nostri progetti. C’è una stretta cooperazione con le istituzioni locali.

 

 

 

 

Donatella con la piccola Noelia, che è arrivata dalla Guinea Equatoriale, parte dell'Africa in cui si parla  spagnolo, insieme con il fratello Javi e la mamma Felicitas: «Vivono ormai da 4 anni a Berlino e grazie alla Caritas hanno una casa e un sostegno economico. Abbiamo trovato un asilo pr Noelia e una scuola per Javi. La famiglia è totalmente integrata», sostiene con orgoglio l'assistente sociale giuliese

 

 

 

 

 

Dapprima sociologa e poi assistente sociale, per tua scelta, mi è sembrato di capire dal tuo profilo… Come è cambiata la funzione lavorativa con questo “passaggio”?

 

Il “passaggio” è stato naturale. La mia professione mi ha portata ad essere a stretto contatto con le persone ed ho sentito und gap professionale che era giusto colmare con le nozioni del servizio sociale. Io continuo a sentirmi una sociologa più che un´assistente sociale. Il servizio sociale mi ha dato gli strumenti per lavorare in prima linea con le persone ma è la mia base di sociologia che mi permette di fare il mio lavoro come project manager e project writer. Quando mi hanno affidato lo Jugendmigrationsdienst il progetto doveva ripartire da zero e c’è stato bisogno di una profonda diagnosi del territorio che ho effettuato attraverso metodologie sociologiche quantitative e qualitative. Le statistiche progettuali sono aumentate dell´80% dall’inizio del mio lavoro. Non sarei riuscita ad ottenere questi risultati senza la combinazione delle due lauree. Sono molto orgogliosa del mio percorso di studi.

 

Berlino è stata una tappa naturale del tuo percorso professionale?

 

Berlino è una città fantastica. Da Sociologa sono sempre stata affascinata dalla lingua tedesca e quando ho visitato la città per la prima volta me ne sono profondamente innamorata. A Berlino si respira libertà in continua metamorfosi ed è una città creativa, piena di alternative. Puoi essere ciò che vuoi essere sia a livello personale che professionale. C´è una forte meritocrazia in Germania cosa di cui noi purtroppo in Italia siamo carenti. Berlino è una delle città che non va visitata ma va vissuta. Il bello della città non è (solo) la porta di Brandeburgo o il muro con tutta la sua storia, ma la vita di kreuzberg e neukoelln, quartieri multiculturali per eccellenza che sono l’essenza della città e il cuore dello street art.

 

 

Donatella in occasione di una visita alla Caritas di El Salvador

 

 

In poche parole, ti sei ambientata bene in una realtà culturale e dimensionale diversa da Giulianova?

 

Sono andata via da Giulianova quando avevo 18 anno per andare a studiare a Bologna. Ormai è da tantissimo tempo che non ci vivo ma sono sempre tornata spessissimo. Noi Giuliesi siamo fortunati e a volte non ci rendiamo neanche conto di ciò che abbiamo. Noi che al mare siamo nati non possiamo vivere senza e non parlo del mare in generale ma del nostro…quello giuliese. A Berlino vivo da sola e ad ogni inverno mi dico sempre che sarà l’ultimo. Poi quando sono via dalla città mi manca tantissimo. Per noi italiani all’estero è come doversi dividere il cuore in due parti. Per me è interculturalità. Siamo un incontro fra mondi diversi e la nostra ricchezza è fatta dalla nostra diversità: l’altro ci è prezioso nella misura in cui è diverso.

 

Pensi che Berlino sia una permanenza stabile o, anche in relazione all’organizzazione della stessa Caritas che ti ha portato in tanti altri paesi diversi, hai prospettive di nuove esperienze altrove?

 

Per ora sono in pianta stabile a Berlino e quest’anno a causa della pandemia mi sono trovata molto a pensare al mio futuro professionale. Sono una persona molto ambiziosa ed ho deciso di provare a cambiare. Ci sono infatti delle importanti novità imminenti ma che preferisco non rivelare per scaramanzia.

 

Hai avuto l’opportunità durante una trasferta nell’isola di Lesbo di visitare il campo profughi di Karatepe in Grecia. Hai ammesso che l’esperienza ha segnato profondamente il tuo lavoro. In che senso?

 

Nell’isola di Lesbo ci sono due campi molto importanti, quello di Moria e quello di Karatepe. Non ci hanno permesso di visitare Moria a causa della pressione mediatica che c’è stata sul fatto che a Moria non venissero rispettati i diritti umani. Karatepe è un campo molto più piccolo e meno conosciuto. Si poteva comunque sentire la tensione delle persone che vi lavorano. Per me è stata fortissima l’emozione nel vedere con i miei occhi dove i “miei” ragazzi sono stati prima di arrivare in Germania. Avevo sentito delle storie sul come avevano vissuto quella sorta di prigionia. Le persone che sono in un campo profughi non hanno documenti. Questo significa che non hanno il diritto di muoversi liberamente. Noi ci svegliamo la mattina e compriamo il biglietto aereo per una bella capitale europea. Le persone che vivono lì non sanno se e quando saranno mai liberi di lasciare il campo. È come vivere in un limbo. Lì ti rendi conto di quanto sia ignobile e assurdo tutto ciò. Ho chiesto ad uno dei bambini che cosa volesse fare da grande, quale fosse il suo sogno. Mi ha risposto che avrebbe voluto fare il medico per aiutare le persone e ho sentito una fitta nello stomaco.

 

Alla Caritas di Berlino ti sei occupata, come sociologa, di integrazione dei Rom. E’ ben noto che a Giulianova la presenza dei 'comunemente detti' Rom è radicata nel tempo, spesso anche in maniera conflittuale nel contesto. Cosa ti senti di dire in proposito?

 

Quando si parla di rom è fondamentale distinguere tra Rom, Sinti e caminanti. Io ho lavorato con Rom di origine rumena che hanno molte differenze culturali rispetto a nostri concittadini. In Abruzzo si dovrebbe parlare più che altro di Sinti che si contraddistinguono dai Rom. Ad esempio è chiara la differenza dell’abbigliamento, soprattutto quello femminile. Ho sentito diversi giuliesi usare l’appellativo “nomade” e mi è venuto da “sorridere”. Il “nomadismo” ha a che fare con il fattore mobilità, cosa che riguarda una percentuale molto minima di queste comunità, di certo non la nostra. Sicuramente mi sento di dire che si potrebbe fare qualcosa in più per costruire un ponte di comunicazione e scambio. Siamo tutti giuliesi, minoranze etniche e non. A mio avviso si potrebbe per esempio lavorare sulla dispersione scolastica e l’empowernment delle donne. Mi piacerebbe un domani poter lavorare a qualche progetto futuro a casa mia.

 

 

 

Donatella con i ragazzi dello Jugendmigrationsdienst, durante la giornata sul dialogo interreligioso, cioè all'interazione positiva e cooperativa fra gruppi di persone appartenenti a differenti tradizioni religiose. Nella sua maglietta "Defend" si notano i tre simboli religiosi.

 

 

Amplio la domanda trasferendola a una esperienza similare: l’integrazione dei giovani. In questo settore, riscontri differenze di sistema e di condizioni rispetto al nostro Paese?

 

Ci sono delle differenze importantissime in questo settore. La Germania ha un tasso di disoccupazione giovanile del 5,7%. In Italia si è quasi al 30%. C’è una profonda differenza tra i due sistemi scolastici. Quello tedesco “accompagna” i ragazzi, soprattutto quelli meno portati per lo studio, direttamente nel mondo del lavoro. Ci sono dei modelli studio/lavoro (Ausbildung) che praticamente annullano la disoccupazione giovanile dopo le scuole. In questo senso in Italia c’è un profondo gap.

 

Quali popoli trovano maggiore difficoltà di inserimento in Germania?

 

Sicuramente quelli provenienti dai paesi non appartenenti all’UE e da quelli balcanici come Albania, Bosnia ed Erzegovina, Bulgaria, Croazia, Grecia, Macedonia del Nord, Kosovo (status conteso), Montenegro, Romania, Serbia, Slovenia e Turchia.

 

E’ storia che verso la Germania vi è stata, negli anni Sessanta-Settanta, una forte emigrazione di italiani, più operaia che intellettuale. Come si presenta oggi la situazione che ci riguarda?

 

A Berlino ci sono più di 60.000 italiani registrati ufficialmente. Immagino che siamo almeno 1/3 in più in maniera ufficiosa. Sicuramente dell’ondata migratoria degli anni ’70 siamo ricordati come la classe operaia ma oggi le cose sono profondamente cambiate. Proprio per quanto spiegavo prima. Qui c’è una forte tendenza al lavoro ma una carenza di figure professionali di livello universitario. Moltissimi giovani vengono dall’ Italia oggi molto preparati e con un livello di studio che forse qui in Germania è invece carente. Diciamo che ci compensiamo.

 

Sembra un gioco di parole, ma il problema dell’immigrazione porta anche lavoro da emigrato? Ovvero, il settore sociale aiuta l’occupazione “globalizzata”?

 

Trovo profondamente sbagliato quando la parola problema viene collegata al termine immigrazione. L’immigrazione altro non è che un fenomeno naturale che esiste da sempre, che sempre ci sarà e non potrà mai essere fermato. Bisogna “semplicemente” trovare le giuste strategie (politiche) per farne fronte. Nel mio lavoro sono fondamentali l’empatia, l’intelligenza emozionale e la tolleranza. Anche se in maniera diversa l’esperienza di vivere in un atro paese ti lega ed è più facile creare un rapporto di fiducia. Nel mio ruolo essere io stessa un’immigrata è sicuramente un valore aggiunto.

 

E le organizzazioni umanitarie o di carattere sociale sono una risorsa sotto questo aspetto anche se a volte vengono viste diversamente?

 

La migrazione è un diritto umano e le ONG sono fondamentali per far si che questo diritto sia tutelato. C’è un fortissimo bisogno di informazione in questo senso, soprattutto in Italia. Attraverso le loro azioni, le ONG come Caritas contribuiscono alla salvaguardia della democrazia e dell’interesse pubblico, spiegando ai governi le opinioni dei cittadini che rappresentano. C’è chi le critica accusandole di poca trasparenza e chi invece ne condivide gli intenti e le sostiene attivamente. Fatto sta che le ONG sono fondamentali per assicurare il rispetto dei diritti umani.

 

Ami viaggiare con zaino e Polaroid… Come diciamo noi a Giulianova “n’n pù sta ferm’” (non puoi stare ferma). Perchè? Qual è la spinta?

 

Mi piace moltissimo l’espressione “n’n pù sta ferm” perché mi descrive benissimo! La Polaroid è stata un regalo di una mia amica e ho iniziato a fare le prime foto durante il mio primo viaggio da sola in Messico. Mi ha fatto tantissima compagnia. Ogni giorno pensavo a cosa avrei immortalato. Con la polaroid hai “un solo scatto” per cui il momento va pensato bene perché non si ha una secondo occasione di immortalarlo.

 

Quali sono i ricordi più belli che hai immortalato in immagini?

 

Sicuramente uno dei ricordi più belli che ho è quello di un bimbo di origine beduina che ho fotografato durante il mio viaggio in Giordania. Ero lì per una conferenza e ne ho approfittato per visitare Petra. Il bimbo si chiamava Gheddam e credo non avesse mai visto una foto in vita sua. Quando ha visto il suo volto impresso nella foto non riusciva a credere ai suoi occhi. È stato davvero emozionante.

 

 

 

Ti manca Giulianova? E hai modo, pandemia a parte, di tornarci spesso? Quali sono i tuoi legami giuliesi più forti?

 

Giulianova non mi manca perché torno spessissimo! Praticamente quasi una volta al mese. Però si certo mi mancano i miei legami giuliesi, la mia famiglia e i miei gatti , ma anche tanti amici a cui sono fortemente legata.

 

La domanda ai Giuliesi nel mondo: se ti dico cupola di San Flaviano pensi a…?

 

Casa. Io poi sono del paese, quindi per me è proprio il simbolo che rappresenta casa mia.

 
(foto poste a disposizione da Donatella Forcini, che ringraziamo)
 

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